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Andare in pensione in anticipo: le novità in arrivo

Riparte il cantiere della previdenza, con l'obiettivo di evitare lo "scalone" nel 2021, quando finirà Quota 100. Il prezzo della flessibilità? La penalizzazione del 2,8-3% per ogni anno di anticipo.

Andare in pensione in anticipo con Quota 100 sarà possibile fino al 2021. Dopo quella data, quando la sperimentazione triennale avrà esaurito il suo effetto, si dovrebbe tornare direttamente ai requisiti d’ordinanza previsti per la pensione di vecchiaia e per quella anticipata.

Si creerebbe così il temuto “scalone”, perché, da un giorno all’altro, verrebbe meno la possibilità di uscire dal mondo del lavoro a 62 anni con 38 di contributi e si potrebbe accedere alla pensione di vecchiaia solo con 67 anni di età.

Questo potrebbe creare forti discrepanze rispetto a chi perderebbe i requisiti di Quota 100 solo per pochi giorni. Per questo, è allo studio di governo e sindacati una nuova formula che possa stemperare gli effetti della fine di Quota 100, che, da parte sua, non sarà prorogata a causa dei costi generati.

La Corte dei Conti ha infatti calcolato che Quota 100 è costata 2,6 miliardi nel 2019, 5,9 miliardi nel 2020 e 7 per il 2021, con effetti sulla spesa pubblica che si trascineranno nei prossimi decenni, perché le pensioni versate agli anticipatari non saranno coperte dai contributi da loro versati bensì dalla fiscalità generale.

Andare in pensione in anticipo: il prezzo della flessibilità

La sperimentazione di Quota 100 è stata un unicum nel panorama delle riforme che hanno consentito di andare in pensione in anticipo, perché non ha previsto formalmente delle penalizzazioni.

Normalmente, infatti, quando il Governo prevede delle agevolazioni in termini di età pensionabile, chiede al beneficiario di sopportare un costo. Ad esempio, Opzione donna richiede che si accetti di ricalcolare tutto l’importo del vitalizio con il contributivo, rinunciando anche alla quota che potrebbe essere valutata col metodo retributivo (più favorevole al pensionando), per poter ottenere di uscire prima dal mondo del lavoro.

Quota 100, invece, non ha previsto queste forme di penalizzazione, anche se l’uscita a 62 anni con 38 di contributi non è del tutto a costo zero. Rinunciare a qualche anno di versamento dei contributi, infatti, riduce il montante contributivo e, di conseguenza, l’importo finale della pensione. In sostanza, quindi, si tratta di una penalizzazione indiretta, legata al modo di calcolare la pensione.

Nella riforma previdenziale allo studio in vista della fine di Quota 100, sarà difficile poter replicare questa assenza di penalizzazioni. L’età pensionabile, infatti, è stata studiata alla luce dell’aspettativa di vita, ormai sempre più lunga. Se si anticipa l’uscita dal mondo del lavoro, l’equilibrio tra le entrate (i contributi dei lavoratori) e le uscite (le pensioni erogate) su cui si regge il sistema previdenziale rischia di crollare. Quanto versato, infatti, da solo non basta a coprire gli anni di pensione (in eccesso rispetto alla normale età pensionabile), obbligando la collettività a coprire il gap con la fiscalità generale. Il meccanismo della penalizzazione serve proprio a riportare in equilibrio i costi: si va in anticipo prima, con meno soldi.

Come sarà la “nuova quota 100”?

La “nuova quota 100” seguirà inevitabilmente la strada della penalizzazione. Secondo quanto riportato da Il Sole 24 ore, l’ipotesi che circola è quella di un meccanismo flessibile che permetta di uscire dal mondo del lavoro a 62 o 63 anni di età con 38 di contributi (forse anche 36), con l’aggancio pieno al sistema contributivo puro.

Come per opzione Donna, tutta la pensione sarebbe calcolata con il metodo contributivo, anche per gli anni in cui varrebbe il retributivo. In sostanza, si perderebbe il 2,8-3% per ogni anno di anticipo rispetto alla soglia del pensionamento dei 67 anni.

Questa formula, che dovrebbe essere messa nero su bianco nella prossima manovra autunnale, potrebbe essere utilizzata anche nella gestione delle crisi aziendali.

Con questo sistema si dovrebbe garantire la sostenibilità della spesa pubblica e non aggravare i conti dello Stato. Tuttavia, chi vorrebbe andare in pensione in anticipo si troverà a dover accettare un vitalizio ridotto; l’alternativa sarà di restare al lavoro fino a 5 anni in più.

Diversa è la situazione per chi potrà contare su una fonte di integrazione della pensione in grado di colmare il gap del vitalizio. In questo caso, il futuro pensionato potrà decidere in tutta libertà se anticipare l’uscita dal mondo del lavoro, sapendo di poter contare sull’integrazione della pensione. In alternativa, potrà scegliere di continuare a lavorare fino all’età pensionabile non anticipata, usando l’integrazione per incrementare il valore dell’assegno previdenziale.

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