Le domande per andare in pensione con Quota 100 sono già 101.538. Questa formula di anticipo dell’uscita dal mondo del lavoro, tuttavia, rischia di presentare un conto salato per la collettività, riverberandosi sulla previdenza soprattutto delle giovani generazioni.
Il problema, già sollevato in passato anche dall’ex presidente dell’Inps Tito Boeri, è tornato al centro del dibattito dopo la pubblicazione dell’analisi di Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi di Itinerari Previdenziali, realtà indipendente che opera da oltre 10 anni in attività di ricerca, formazione e informazione nell’ambito del welfare e dei sistemi di protezione sociale, con l’obiettivo di sviluppare la cultura della previdenza, dell’assistenza e della sanità integrativa.
In pensione con quota 100: molti costi e poche opportunità di lavoro
Per fare un bilancio degli effetti di quota 100, occorre attendere ancora un po’ di tempo, tuttavia, secondo Brambilla, già l’analisi del flusso delle domande consente di fare alcune riflessioni.
I costi, innanzitutto. Considerando una platea di 300.000 persone e mettendo insieme il mancato flusso di contributi in entrata nella casse dell’Inps e le maggiori spese per le prestazioni anticipate, si può stimare un costo totale dell’operazione attorno ai 30-33 miliardi, che vanno ad aggiungersi alla spesa di altre soluzioni di flessibilità pensionistica come opzione donna.
Nell’idea del legislatore, Quota 100 dovrebbe sbloccare il mercato del lavoro con nuove assunzioni. Tuttavia, secondo Brambilla, “le aspettative di un discreto rimpiazzo di neopensionati sono modeste. Tanto più che siamo in presenza di ciclo economico negativo (l’incremento 2019 del Pil sarà forse inferiore allo 0,4% e la produzione industriale è in una fase di forte calo e difficilmente migliorerà nel secondo semestre del 2019). In questa situazione, come ampiamente accaduto in passato, le aziende cercheranno di liberarsi (anche con forme di pressione e buoni incentivi) di quanti più lavoratori possono, soprattutto tra coloro che sono difficilmente reinseribili nel nuovo ciclo di produzione perché hanno professionalità obsolete oppure tra le fasce deboli ( tante assenze per motivi di salute o familiari). In sostanza le categorie previste dall’Ape sociale che si sarebbero potute «trasferire» a costo zero per lo Stato nei cosiddetti fondi esubero o di solidarietà”.
Peraltro, secondo il presidente del centro studi, si innesca un circolo vizioso perché le aziende che vogliono ridurre il personale rispetto al fabbisogno, anziché mutualizzare il costo del prepensionamento attraverso i fondi bilaterali, potranno beneficiare di Quota 100, il cui costo è a carico della collettività. “Risultato? La maggior parte dei circa 53.000 lavoratori dipendenti del settore privato che al 21 marzo hanno presentato domanda per quota 100 darà luogo a pochissimi posti di lavoro per i giovani, forse meno di un 10%”. Allo stesso tempo, i 30.500 dipendenti pubblici andranno a sguarnire settori vitali come la scuola, la sanità e anche l’Inps: per questi la palla passa al governo. “Certo che per fare lavorare i giovani, dover pagare lo stipendio doppio (uno al pensionato e uno al neo assunti) non pare un grande affare”.
Con quota 100, l’effetto sul debito implicito futuro
Quando si parla di spesa pubblica, è fondamentale considerare non solo i costi nel presente, ma anche quelli che vengono trasmessi alle generazioni future.
È questo il senso del debito implicito pensionistico, ovvero l’insieme degli impegni futuri, in valore attuale e a legislazione vigente, presi dallo Stato nei confronti dei cittadini in termini di prestazioni pensionistiche al netto dei contributi, parametro importante per valutare la sostenibilità del sistema previdenziale.
Secondo Boeri, “il grosso del costo di Quota 100 graverà comunque sulle generazioni future. Il debito implicito del sistema pensionistico è destinato ad aumentare sia per effetto del nuovo canale di uscita anticipata che del congelamento degli adeguamenti della speranza di vita per le pensioni anticipate. Nel caso in cui le misure non fossero rinnovate al termine del periodo di sperimentazione (2021 per Quota 100 e 2026 per il congelamento dell’adeguamento), l’aumento del debito implicito sarebbe di circa 38 miliardi”.
Un onere che dovrà essere recuperato sulle generazioni future, che rischiano di vedersi ridurre l’importo delle loro pensioni per garantire la sostenibilità del sistema.