Un’inchiesta di Milena Gabanelli e Giuditta Marvelli, pubblicata sul Corriere della Sera di lunedì 18 febbraio e ripresa anche dal TG La7, riaccende l’attenzione su quanto costa la tendenza degli italiani a tenere immobilizzati i risparmi.
Secondo i dati forniti da Banca d’Italia, infatti, ben 1.371 miliardi dei 4.287 della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è ferma sui conti correnti. Ciò vuol dire che circa un quarto della ricchezza posseduta dalle famiglie è immobilizzata, ovvero non viene spesa, non viene investita e non riceve interessi.
Un comportamento che è irrazionale, visto che “parcheggiare” dei risparmi sul conto corrente può portare addirittura a delle perdite.
Risparmi immobilizzati: quanto costa lasciare i soldi sul conto corrente
L’inchiesta mette in risalto un aspetto poco considerato dalle famiglie, ovvero che i conti correnti tradizionali, così come quelli online, non rendono nulla ma hanno dei costi di gestione. È molto interessante il raffronto che viene fatto tra diversi strumenti di gestione del risparmio.
In particolare, si calcola che un capitale di 10.000 euro:
- dopo 5 anni si riduce a poco più di 9.000 euro, se lasciato su un conto infruttifero, a causa di spese di gestione e inflazione, e addirittura a poco meno di 7000 euro dopo 20 anni, con una perdita netta di più di 3000 euro;
- dopo 5 anni, può raggiungere una valorizzazione che va dai 10.400 ai 12.885 euro, a seconda del tipo di investimento scelto; dopo 20 anni, può arrivare anche a 27.500 euro, se investito in azioni internazionali, con un surplus di 17.000 euro.
Ovviamente si tratta di elaborazioni fatte sulla base di andamenti storici e che non possono essere predittivi. Tuttavia, questo esempio evidenzia un problema non di poco conto, con un impatto sociale importante, considerando che una gestione più efficace dei risparmi sarebbe utile ad affrontare un futuro previdenziale incerto, spese sanitarie in aumento, incertezze lavorative.
L’educazione finanziaria come motore per una migliore gestione del risparmio
La principale ragione che spinge le famiglie a immobilizzare i risparmi è la paura di dover fronteggiare perdite di reddito in un futuro prossimo. Secondo la rilevazione di Anima Gfk, fatta a dicembre 2018, il 53% degli italiani muniti di conto corrente ha indicato il timore di una recessione, il 40% la possibile perdita del lavoro, il 27% un aumento delle tasse. Mentre alla domanda: «Che cosa farebbe se le regalassero centomila euro?», il 47% ha risposto che li metterebbe da parte, mentre solo il 14% dei correntisti li investirebbe in azioni, fondi o prodotti finanziari.
Ma rispondere alla paura immobilizzando i risparmi è davvero la scelta più coerente? Dall’elaborazione realizzata da AdviseOnly sulla base dei dati tra il 1900 ed il 2017, emerge che il rendimento reale medio annuo è di -2% per i conti corrente, +0,8% per gli strumenti monetari, +2% per le obbligazioni internazionali, +5,2% per le azioni internazionali.
Di fronte a questo prospetto, chiunque riterrebbe logico scartare il conto corrente e investire i propri risparmi in strumenti più fruttuosi. Eppure, in Italia accade il contrario.La scarsa conoscenza del mondo finanziario, il timore della volatilità dei mercati e la necessità di avere a portata di mano i risparmi (sotto forma di liquidità) per affrontare spese impreviste spingono verso l’immobilizzazione di risorse che, se al contrario fossero messe in circolo, potrebbero andare a sostenere l’economia reale e, di conseguenza, il Paese.
Il primo tassello per interrompere questo cortocircuito è diffondere una maggiore cultura finanziaria, come previsto dalla legge del 2017 sull’educazione finanziaria, perché solo attraverso una maggiore conoscenza si possono prendere decisioni consapevoli ed efficienti.