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Gestione dei risparmi: le scelte degli italiani

Cresce in Italia la tendenza ad investire i risparmi e accantonare risorse per il futuro, e aumenta il numero di risparmiatori che si affidano al risparmio gestito. Tuttavia, nonostante la consapevolezza dei rischi di una pensione statale che non sarà sufficiente per mantenere il tenore di vita acquisito, la previdenza integrativa stenta ancora a decollare.

Cresce la tendenza ad accantonare risorse pensando al futuro, ma qualcosa è cambiato: gli italiani tendono sempre più ad affidarsi al risparmio gestito, tanto che questo ha superato in percentuale le obbligazioni, strumento di investimento tipico dei risparmiatori del nostro Paese.

Lo storico sorpasso è stato fotografato dall’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2018, curata dal Centro Einaudi e da Intesa Sanpaolo, basato su interviste effettuate da Doxa ad un campione di 1500 persone.

Il risparmio gestito supera le obbligazioni

La luna di miele dei risparmiatori italiani con le obbligazioni sembra terminata: le detiene in portafoglio il 19% degli intervistati (erano il 29% nel 2007) e, per i possessori, esse rappresentano ormai solo il 24% dell’attivo, rispetto al 36% del 2015.

Dalle obbligazioni, gli investitori sono usciti in due direzioni: la liquidità, favorita dal tasso di inflazione inferiore all’1%, e il risparmio gestito. Nell’edizione del 2018, il 21,4% del campione ha dichiarato il possesso di almeno una forma di risparmio gestito (negli ultimi 5 anni): i sottoscrittori di fondi comuni sono risultati il 10,9% (erano il 7,2% nel 2015), quelli di ETF il 7,3% (2,3 % nel 2015), quelli di polizze unit linked il 2,8% (2% nel 2015).

Per 9 risparmiatori su 10, l’avversione al rischio è assoluta e la sicurezza degli investimenti è tra i principali obiettivi. Quando il risparmiatore si trasforma in investitore, infatti, non vuole perdere neppure un centesimo di quanto ha risparmiato: tra gli obiettivi, la sicurezza è citata al primo posto dal 60% circa degli intervistati; seguono il rendimento di breve periodo (13,6%), la liquidità (11,7%) e, per ultimo, il rendimento nel lungo periodo (6,7%).

Il contesto economico: segnali di ripresa e crescita del risparmio

Le scelte di gestione del risparmio si collocano in un contesto positivo, caratterizzato dalla ripresa economica, tanto che sale dal 61% del 2017 al 64% del 2018 la percentuale di chi dichiara di avere un reddito sufficiente o più che sufficiente per il suo tenore di vita.

Dall’Indagine svolta nel 2017 emergeva una ripresa lenta e incompleta dei bilanci di famiglia. La rilevazione del 2018 è più rassicurante: i segni della ripresa sono più diffusi tra le categorie del campione e interessano tutti i sottogruppi. Ben il 92% degli intervistati dichiara di provvedere autonomamente, senza ricorrere ad aiuti di terzi, al bilancio della famiglia. Si dimezza dal 40 al 20% la quota di capifamiglia, non indipendenti finanziariamente, che attribuiscono alla crisi il proprio stato.

In generale, crescono i risparmiatori. L’area del non-risparmio, ossia delle famiglie che non hanno messo da parte alcunché nei dodici mesi precedenti l’Indagine, si contrae al 52,7% nel 2018 – il massimo storico del 61,3% fu registrato nel 2012. Specularmente, la percentuale di famiglie risparmiatrici si porta oltre il 47%, in aumento rispetto al 43,4% del 2017. La propensione al risparmio, calcolata chiedendo agli intervistati quale percentuale del reddito abbiano risparmiato, è al 12% del reddito: si tratta del valore più alto dal 2001.

Risparmi per il futuro: ancora poco diffusa la previdenza integrativa

Si risparmia soprattutto per affrontare gli imprevisti, garantire un futuro ai figli e tutelarsi nella vecchiaia. La principale ragione di risparmio è quella genericamente precauzionale, che interessa il 43% circa dei risparmiatori “intenzionali” e appare particolarmente diffusa tra le donne, i più giovani e i più anziani. Seguono il futuro dei figli (21,1%), la vecchiaia (19,7%) e la casa (14%). Prima della crisi, la casa occupava la seconda posizione (26%), dopo l’incertezza (42%) e prima della vecchiaia (21%).

Resta una nota dolente, però, sulla previdenza integrativa: nonostante la consapevolezza che la pensione pubblica non consentirà di mantenere il tenore di vita a cui si è abituati, solo il 21,7% delle persone con meno di 35 anni dichiara di aver sottoscritto il 2° o il 3° pilastro pensionistico e di avere una forma di integrazione del vitalizio obbligatorio. Tendono a prevalere negli italiani una certa passività nei confronti dei rischi collegati all’invecchiamento e la preferenza al “far da sé”, ovvero l’idea è di pensare da soli ad accantonare e investire il necessario per avere delle risorse da usare dopo la pensione.

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