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Mobilità sanitaria: quanto costa curarsi lontano da casa?

Quando muoversi è necessario per avere accesso alle cure

Si chiama mobilità sanitaria ed è un fenomeno sempre più  forte. Secondo l’indagine, la prima del genere, che il Censis ha condotto per conto di CasAmica Onlus e presentata in Senato, parliamo di 1.400.000 persone interessate, di cui 750.000 malati e 650.000 accompagnatori. Perché si sceglie di andare in strutture lontane per accedere a prestazioni sanitarie? Quanto costa?

Mobilità sanitaria: cause, costi e conseguenze

Perché almeno 750.000 persone hanno scelto di andare a curarsi fuori dalla propria regione? Le cause sono svariate. Secondo la riccerca di Censis e CasAmica, nel 54% dei casi si tratta di ricerca di cure di migliore qualità. Il restante 46% si divide più o meno equamente tra questioni logistiche (impossibilità di fruire, nella propria regione, delle prestazioni di cui si ha bisogno) e fuga dalle lunghe liste d’attesa.

Nel 55% dei casi le persone migrano dietro il consiglio del medico di famiglia. Il flusso maggiore va da Sud a Nord, dove vanno a curarsi ogni anno 218 mila pazienti meridionali. Le capitali della migrazioni sanitarie corrispondono a 12 ospedali d’eccellenza, concentrati a Roma, Milano, Genova, Bologna, Padova, Firenze, Pisa e Siena, dove va un migrante della salute su quattro.

Il tempo di permanenza medio lontani da casa è di una/due settimane. Nel 21% dei casi, supera i 15 giorni. Un quinto delle persone ricoverate fuori regione accede alle cure in regime di day hospital. Un buon 10% ripete il viaggio più di una volta all’anno.

Sono 90 mila i nuclei familiari in difficoltà: la mobilità sanitaria ha infatti i suoi costi, tanto che  il 37% dei migranti propenderebbe per un ricovero nel proprio territorio a causa dei disagi per il ricovero lontano da casa.

Il peso maggiore ce l’hanno le spese di vitto e alloggio, che sono il 50% del totale. Il 58% lamenta l’onerosità dei costi monetari sostenuti per la migrazione.

Il 43% fa riferimento a difficoltà di ordine psicologico ed emozionale, senso di solitudine. Oltre il 30% del totale segnala l’indebolimento della sua situazione lavorativa.

Un paziente oncologico, tra viaggio, visite private, farmaci e assistenza infermieristica in media spende 7.000 euro, a cui vanno aggiunti 10.000 di lavoro perso, più i 6.000 persi dall’accompagnatore in termini di mancato lavoro.

Per altro, spesso succede che la prolungata assenza porti a problemi sul lavoro, come lamentato nel 70% dei casi.

Mobilità sanitaria, il ruolo del pubblico e del privato

«In molti casi i malati e i loro accompagnatori sono costretti a dormire su una panchina oppure in macchina, accanto al luogo di cura, non potendo permettersi un alloggio», denuncia Stefano Gastaldi, direttore di CasAmica, Onlus che con le sue case di accoglienza sparse un po’ in tutta Italia cerca di risolvere le situazioni più critiche. Il Censis ha infatti censito solo mille posti letto in case famiglia vicino agli ospedali: nulla, se si pensa che le famiglie in difficoltà, come si diceva prima, sono in seria difficoltà.

Tuttavia, il privato sociale riesce ad aiutare solo  poco più di un migrante su dieci. E tutti gli altri? Ad oggi, devono metter mano alle proprie risorse, con tutto ciò che questo comporta, oppure rinunciare a raggiungere strutture dove ritengono che sarebbero curati meglio o in tempi più rapidi.

In assenza di interventi da parte dello Stato, che incentivino soluzioni del privato sociale, un’alternativa può essere la sanità integrativa, che serve proprio per consentire ai beneficiari di accedere a cure di qualità in tempi brevi senza sopportarne i costi. Esistono anche formule di sanità integrativa che riescono a coprire il disagio di perdere giorni di lavoro, uno dei principali disagi registrati.

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