Sono alcune delle proposte di Cittadinanzattiva alla luce del nuovo rapporto Pit Salute del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, che evidenzia le criticità nell’accesso al Ssn, Servizio sanitario nazionale.
Il rapporto si basa su 21.493 segnalazioni arrivate nel 2015 al Pit salute nazionale, ai Pit salute locali e sezioni territoriali del Tribunale per i diritti del malato. «Se lo scorso anno abbiamo denunciato – spiega Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato – che si stavano abituando i cittadini a considerare il privato e l’intramoenia come prima scelta, ora ne abbiamo la prova: le persone sono state abituate a farlo per le prestazioni a più basso costo (ecografie, esami del sangue)».
Vediamo cosa emerge dal nuovo rapporto.
Accesso al Ssn: le principali criticità
Al primo posto c’è la difficoltà di accesso al Ssn, che riguarda quasi una segnalazione su tre (30,5%, rispetto al 25% del 2014) per liste di attesa (54,5%), ticket (30,5%), intramoenia (8,4%).
Per quanto riguarda le liste d’attesa, se diminuiscono le segnalazioni sui tempi per esami diagnostici semplici, dal 36,7% del 2014 al 25,5% del 2015, crescono decisamente per gli interventi chirurgici (35,3% nel 2015 vs il 28,8% del 2014), con ortopedia al primo posto, e per le visite specialistiche (34,3% vs 26,3%), in particolare per le visite oculistiche.
Per quanto riguarda la compartecipazione alla spesa, quindi i ticket, pesano i costi per diagnostica e specialistica (41%); segue la mancata applicazione dell’esenzione (24,5%, nel 2014 era il 10,9%) e le segnalazioni per i costi per le prestazioni a totale carico dei cittadini (20,8%, 17,8% nel 2014).
Stabili le segnalazioni sulla presunta malpractice e la sicurezza delle strutture che raccolgono il 14,6% (era il 15,4% nel 2014). In questo ambito però si segnala un peggioramento delle condizioni delle strutture (25,7% vs 17% dell’anno precedente), legato principalmente al malfunzionamento dei macchinari (41,9% vs al 38,2%), alle precarie condizioni igieniche (30,1% vs 35,3%) e agli ambienti fatiscenti (28,1% vs 26,5%).
In testa, fra gli errori terapeutici, quelli di ortopedia, in ginecologia e ostetricia (14%, ma nel 2014 erano l’8,3%). Tuttavia non è facile dimostrare l’errore medico, tanto che il rapporto evidenzia come su 768 consulenze medico legali, in quasi due casi su tre (63%) si sconsiglia l’azione legale. Se nel 57% dei casi manca il nesso di causalità, dunque non è ravvisabile una diretta responsabilità sanitaria, in circa un caso su tre (32%) la documentazione clinica consegnata dalle strutture è incompleta o inadeguata e ancora per l’11% sono decorsi i termini per l’azione legale.
Fuori dagli ospedali, le cose non vanno meglio. Crescono i problemi con medici di famiglia e pediatri, che raccolgono più di un terzo delle segnalazioni dell’area “assistenza territoriale”. Le principali questioni riguardano il rifiuto di prescrizioni da parte del medico (28,4%, +4% rispetto al 2014), gli orari inadeguati di ricevimento (25,4%, +12%), la sottostima del problema di salute (17,9%, +6%).
In tema di assistenza residenziale, soprattutto nelle RSA, un terzo dei cittadini lamenta la scarsa assistenza medico-infermieristica (-4% rispetto al 2014), un altro terzo i costi eccessivi delle rette per la degenza (+11%), le lunghe liste di attesa (-5%), la distanza dal domicilio della famiglia (-2%).
Una segnalazione su dieci riguarda il tema della invalidità ed handicap. La lentezza dell’iter burocratico per il riconoscimento rappresenta la problematica principale, con il 58,2% delle segnalazioni, lentezza che si riscontra in gran parte (65%) nella fase di presentazione della domanda. Dalla convocazione a prima visita, che richiede in media 8 mesi, alla ricezione del verbale che comporta un’attesa di ulteriori 10, fino alla erogazione dei benefici economici (in media 12 mesi dopo), il cittadino deve aspettare in media 30 mesi, ulteriori due in più rispetto ai tempi segnalati nel 2014.
Tempi non accettabili per i cittadini che si sono rivolti al TDM, considerando che sono prevalentemente affetti in un terzo dei casi da malattie oncologiche, da patologie croniche e neurologiche degenerative (27,5%), legate all’invecchiamento (18%) e rare (10,7%).
Per quanto riguarda l’assistenza ospedaliera (il 10% delle segnalazioni), i maggiori disagi si registrano al Pronto soccorso, per le lunghe attese (45,3%) e per l’assegnazione del triage non trasparente (40,5%, +15% rispetto al 2014).
Secondo ambito problematico è quello dei ricoveri (23,8%): il 45% segnala di aver “subito” il rifiuto o perché il ricovero è ritenuto inappropriato dal personale medico o per tagli ai servizi; un quinto segnala di essere stato ricoverato in reparto inappropriato.
Le dimissioni ospedaliere raccolgono il 13,4% delle segnalazioni: sono ritenute improprie per il 65,4% dei cittadini, più di uno su quattro riscontra difficoltà nell’esser preso in carico dal territorio.
Il 5,8% delle segnalazioni riguarda il tema dei farmaci (era il 4,6% nel 2014). Un 20% di segnalazioni riguarda la spesa per i farmaci considerata elevata dai cittadini che devono pagarli privatamente (63%), sostenere la differenza di prezzo fra generico e brand (26%), affrontare l’aumento del ticket (10,5%).
Cittadinanzattiva: «Il Ssn sembra in ritirata»
Come evidenziato dal rapporto, l’accesso al Ssn diventa sempre più complesso, non perché i cittadini non vogliano, ma perché vivono il paradosso per cui si fa prima a rivolgersi al privato o all’intramoenia per tempi e costi. «Il Ssn, in particolare sulle prestazioni meno complesse, e forse anche più “redditizie”, ha di fatto scelto di non essere la prima scelta per i cittadini – è la sintesi di Aceti – Secondo assurdo: si tratta di prestazioni previste nei Livelli Essenziali di Assistenza, quindi un diritto. È questa la revisione dei Lea “in pratica” che i cittadini già sperimentano ogni giorno».
Per le prestazioni a più alto costo, invece, il servizio pubblico sanitario resta il punto di riferimento per la maggior parte delle persone, anche perché per la maggior parte sarebbe difficile sostenere i costi di tasca propria. Si devono così accettare difficoltà di accesso e, talvolta, discriminazioni, legate alle disparità regionali. «Alle prese con obsolescenza, fatiscenza, igiene, ritardi nella manutenzione e riparazione dei macchinari: tutti fattori – conclude Aceti – che incidono su qualità e sicurezza delle cure e dei luoghi di cura. Insomma l’effetto sui cittadini delle scelte politico-amministrative è di un Servizio Sanitario Nazionale che sembra “in ritirata”».
Una fotografia insomma che non fa che confermare quanto emerso da monitoraggi, ricerche, indagini di cui diamo periodicamente conto. Conseguenza è l’aumento della spesa sanitaria privata, con i cittadini che pagano di tasca propria le prestazioni sanitarie.
La terza via, tra un Ssn a cui è sempre più difficile accedere e la spesa sanitaria privata, può essere la sanità integrativa, con le sue diverse formule che consentono di poter scegliere di rivolgersi al privato, per aggirare le difficoltà di accesso al Ssn, attenuando i costi.
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