Negli ultimi anni, il welfare pubblico sta virando dalla residenzialità pesante, le residenze sanitarie assistenziali (rsa), che costano molto per le famiglie ma anche per lo Stato, a forme di residenzialità più leggera. In pratica, se un anziano non ha particolari problemi, viene lasciato in casa o gli vengono assegnate residenze con pochi posti dove l’assistenza è più limitata.
Resta il punto che per i non autosufficienti, continuerà a servire un’assistenza socio sanitaria importante.
Vediamo cosa offre il servizio pubblico, quali sono i dati su accessi e costi e quali problemi si possono profilare per il futuro.
Assistenza socio sanitaria: cosa offre il servizio pubblico
Il Servizio sanitario nazionale, gestito dal Ministero della salute, assicura l’assistenza sanitaria e socio sanitaria alle persone con disabilità, fragilità e non autosufficienza. Quando le condizioni cliniche lo permettono e se la famiglia può garantire adeguata disponibilità di presenza e comfort, le cure sono offerte prioritariamente a domicilio. In alternativa, gli assistiti sono ospitati in strutture residenziali o semiresidenziali, accreditate dal Servizio sanitario regionale per l’erogazione delle prestazioni di cui hanno bisogno. Questo tipo di assistenza è, il più delle volte, integrata con prestazioni sociali.
I servizi sanitari e socio sanitari per le persone con disabilità prevedono tre tipologie di interventi: cure domiciliari, cure residenziali, cure in regime semiresidenziale.
Le cure residenziali si caratterizzano come prestazione di assistenza a lungo termine a chi non è autosufficiente ed è in condizioni di cronicità e/o relativa stabilizzazione delle condizioni cliniche. Sono generalmente indicate nel caso in cui l’interessato abbia bisogno di un’assistenza socio sanitaria in un ambiente protetto e specificatamente dedicato. Inoltre, la struttura sanitaria garantisce un’adeguata assistenza a quei pazienti che non hanno una rete familiare e sociale in grado di prendersi cura delle sue necessità di vita quotidiana. A seconda del tipo di necessità prevalenti, si distinguono le cure residenziali per malati cronici non autosufficienti da quelle dedicate alla riabilitazione dei pazienti disabili.
Costi alti e pochi posti: i limiti della cura residenziale
Secondo Auser, nel 2012 il 2% degli over 65 era ricoverato in una struttura ad hoc, mentre il 3,6% era seguito con le cure domiciliari. Numeri che sono piuttosto lontani dalle medie europee che si attestano al 5% per i ricoverati e al 7% per gli assistiti a domicilio.
Perché così pochi rispetto all’Europa? La prima causa è il numero ridotto di posti letto rispetto alla domanda. In Italia le Rsa hanno disponibilità per 240 mila persone, ma, secondo l’indagine di Auser, ne servirebbe almeno il doppio delle risorse. C’è anche un problema di distribuzione: l’80,1% dei posti si trova nel Nord Italia; al Centro sono 76,3 ogni 10 mila anziani residenti; al Sud il tasso è solo del 16,8.
Secondo un’altra inchiesta di Altroconsumo, sono per altro poco chiari i criteri di scelta dell’inserimento. Molti degli intervistati dall’associazione (63%) hanno dovuto inserire il proprio familiare in una lista d’attesa. Secondo il sindacato dei pensionati Spi-Cgil, la lista d’attesa va dai 90 ai 180 giorni e in alcune regioni come il Lazio si arriva fino a 11 mesi. I criteri in base ai quali si decide l’accesso agli istituti sono principalmente due: l’ordine di presentazione della richiesta (51%) e le condizioni di salute del paziente (39%). Il 35% delle persone intervistate giudica insufficiente la trasparenza nei criteri di accesso alla casa di riposo.
L’altro problema è il costo. I criteri per la determinazione della retta sono principalmente due: è uguale per tutti nel 48% dei casi; nel 36% invece la differenza è determinata dall’autosufficienza o meno dell’ospite. Il costo medio della retta base mensile (che nella maggior parte dei casi include cibo, consumo di elettricità e consulti del medico generico) è di 1.620 euro, ovvero 54 euro al giorno. Più un anziano ha bisogno di assistenza, più paga.
Quanto, di questi costi, viene coperto dalle famiglie? Secondo lo Spi-Cgil il 51% dei costi è sostenuto dalle Asl e il 2,4% dai Comuni, il restante 46,6% è a carico dall’assistito. Praticamente, al mese bisogna sborsare circa 750 euro, che fanno 25 euro al giorno. C’è da dire, poi, che secondo i dati più recenti, solo il 16% dei pazienti riceve un aiuto finanziario da parte delle istituzioni per il pagamento della retta e che nel 69% dei casi le spese per l’istituto superano le entrate dell’anziano.
Rette non pagate, conti a rischio: le prospettive per il futuro
Visto questo quadro, non stupisce se qualcuno inizia a lanciare l’allarme: sempre più persone non pagano le rette. Secondo l’Api Torino, all’appello manca oltre 1milioni di euro per rette non pagate. Un situazione che mette in difficoltà le aziende specializzate nell’assistenza socio-sanitaria. Come riporta il quotidiano La Stampa, «stando alle segnalazioni raccolte dalle strutture, l’ammontare delle rette non pagate nel corso del 2014 sfiora ormai, solo nell’area della ex provincia di Torino, il milione di euro – spiega Antonino Gianfala, presidente della categoria – una situazione che pesa anche sui bilanci aziendali, oltre che essere sintomo di un disagio sociale ed economico sempre più diffuso. Api Sanità ha registrato casi di singole strutture di assistenza che hanno accumulato somme non pagate per 100-200mila euro. In molte situazioni, l’ammontare dei crediti di questo tipo arriva al 10 per cento del fatturato».
E’ facile ipotizzare che questo sia solo l’inizio. Se guardiamo al futuro, infatti, le prospettive non sono certo rosee. Con le reti famigliari sempre meno solide, perché i figli vanno all’estero o hanno poco tempo e spazio da dedicare a genitori non autosufficienti, e con la vita che si allunga, si può prevedere che ci sarà sempre più richiesta di assistenza socio sanitaria, che però, come abbiamo visto, ha i suoi limiti.
Se questi sono i costi, quanti se li possono permettere? Aggiungiamo che se fino a ieri magari le pensioni retributive consentivano di metter mano al portafoglio per integrare i costi, in futuro, pensioni contributive di poche centinaia di euro non permetteranno di affrontare le spese.
Una soluzione? Avere un capitale di “scorta”, per affontare spese importanti e non preventivate può essere molto utile.
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